Seconda puntata (qui la prima).
Nicola Rossi e Alberto Mingardi intendono stroncare MMT quando definiscono un “abracadabra” la tesi (MMT?) per cui se il governo si riappropriasse del controllo della banca centrale (nel caso dell’Italia, uscendo dall’euro), il problema della scarsità di risorse sarebbe bello che risolto. Che gli autori abbiano ravvisato queste affermazioni nel mondo MMT si spiega, forse, con la diffusione in rete di una vera e propria “militanza MMT” che comporta inevitabilmente una moltiplicazione di interpretazioni politicamente differenti. Ma il vero punto in questione, sul quale poi gli autori si concentrano, è quale sia la regola migliore per la politica fiscale nell’interesse comune di breve e di lungo periodo. Ed è proprio su questo punto che gli autori sviluppano due argomenti, dando luogo ad un interessante contraddizione.
Per un verso, essi sostengono la necessità della regola del pareggio di bilancio come legge economica, quando affermano che il settore pubblico “può senz’altro fare tantissime cose, ma le fa, sempre, sottraendo risorse ai contribuenti: ai contribuenti di oggi, con le tasse, e ai contribuenti di domani, indebitandosi.” Il bilancio in pareggio è dunque un vincolo economico irrinunciabile.
Qualche riga più sotto, tuttavia, essi prendono un’altra strada, e sviluppano un argomento utile, a mio parere, non per contraddire MMT ma per aprire un dibattito sulla sua effettiva realizzazione. È quando gli autori affermano che uno Stato totalmente slegato da vincoli su spesa e tassazione diventa inevitabilmente preda di un gruppo di potere che ha mano libera sulle risorse pubbliche. Trovo interessante che gli autori affermino che l’indipendenza della banca centrale e il pareggio di bilancio sono “architetture istituzionali” finalizzate a proteggere i cittadini dallo strapotere del gruppo dirigente. E altrettanto interessante l’affermazione secondo cui le ricette MMT funzionerebbero se gli obiettivi delle classi politiche e dei governi coincidessero con quelli dei cittadini. Rossi e Mingardi, dunque, spiegano che i limiti al debito hanno una finalità politica. Le regole sono necessarie perché il potere va arginato.
Il punto che rimane aperto, dunque, è che se l’assenza di regole è politicamente nefasta, e se le regole di bilancio in pareggio, come dimostrato in una varietà di modelli (MMT e non), possono essere economicamente nefaste, dobbiamo porci seriamente la questione di quale diversa regola seguire. Ma qui Rossi e Mingardi non ci aiutano a individuare un’alternativa ai due mali.
Meno chiara è un’altra argomentazione dei due autori. Non si comprende perché gli autori si dimostrino scettici circa la tesi MMT secondo cui il limite all’accumulazione di debito pubblico è l’inflazione. Dopotutto, anche il principio “ortodosso” di sostenibilità del debito si basa sul rischio di inflazione, che si manifesta nel caso in cui uno Stato si indebiti al punto da non riuscire a rifinanziare il debito e non abbia altra scelta che stampare moneta oppure ripudiare il debito. La novità di MMT non è certo la tesi che il limite del debito è l’inflazione. È semmai l’origine dell’inflazione, che nella versione quantitativa più semplice è conseguenza dell’immissione di denaro da parte dello Stato che rimborsa i titoli, mentre per MMT (e non solo) l’acquisto di debito pubblico (come insegna inequivocabilmente l’esperienza del QE) non ha effetti sulla domanda e quindi sull’inflazione.