Intervista rilasciata a Claudia Cervini per QN Economia & Lavoro
Perché l’Italia resta agli ultimi posti in Europa per crescita economica? e cosa può fare per crescere di più?
Cercare di capire i motivi di una crescita relativamente più bassa della media europea è certamente interessante e molto utile da un punto di vista “regionale”. Ma mi pare che nel dibattito “macroeconomico” ci dimentichiamo troppo spesso che cercare una spiegazione tutta italiana alla bassa crescita è fuorviante. L’Italia, mettiamocelo in testa, è una regione dell’eurozona, e i nostri destini dipendono in primo luogo dalla performance europea.
Guardiamo i fatti. Italia e Germania sono cresciute di pari passo fino al 2006 (grafico). Il divario della crescita coincide con la Grande Recessione. Ed è una regolarità ben nota che quando un’economia nel suo insieme (come l’area euro) rallenta, i divari interni (come Italia-Germania) crescono. Dunque, la soluzione comincia da una politica europea della domanda e della crescita.
Cosa hanno fatto altri paesi per essere riusciti a tornare a crescere più di noi?
Domandiamoci prima quanto crescono gli altri. I dati ci dicono che il Pil dell’eurozona è cresciuto del 2.5% in sette anni (2008-2015), a una media annuale di poco sopra allo zero! In questo quadro desolante, l’economia italiana si è certo dimostrata più vulnerabile della Germania. E la differenza l’ha fatta la capacità tedesca di vendere all’estero. Ma se fermiamo il nostro naso all’obiettivo di guadagnare un po’ di competitività con la Germania per esportare di più perdiamo ancora una volta di vista il quadro d’insieme. Se qualche impresa italiana riuscisse a portare via un po’ di export a qualche impresa tedesca, avremmo soltanto redistribuito (non creato) ricchezza da un territorio tedesco ad uno italiano.
Il nodo da risolvere non è solo la politica economica dell’Italia. Il problema da affrontare è quello della politica economica europea. Se la barca rischia di affondare perchè non è governata, possiamo ben cercare di capire chi si trova più vicino ai salvagenti e chi più lontano così da poter prevedere chi rischia di annegare e chi potrà salvarsi, ma sarebbe decisamente più intelligente andare a raddrizzare il timone finché siamo in tempo.
Può essere importante ottenere un po’ più flessibilità rispetto alle regole fiscali europee?
Può essere utile nel breve periodo. Ma nessuno può illudersi che la prosperità ritorni in Europa a forza di un’eccezione qui e di un’eccezione là. Non può essere una questione di noi e loro. Abbiamo bisogno di mettere in piedi una politica coordinata. L’economia europea oggi può davvero creare lavoro e crescita solo allentando i vincoli al disavanzo.
E’ un vincolo macroeconomico. Ovvero la domanda può crescere solo con un’accelerazione del debito, privato o pubblico. Ed è incomprensibile il motivo per cui l’unica politica europea in atto sia quella di far crescere la propensione al debito privato (ammesso che ci si riesca) attraverso la politica della BCE che ha abbassato i tassi d’interesse a tutta le scadenze.
Fra le cause della minor crescita italiana non c’è anche la scarsa produttività del lavoro, certificata di recente anche dai dati dell’Istat?
La produttività del lavoro è un indicatore della capacità produttiva in eccesso. Non è una causa, ed è piuttosto il riflesso della sofferenza delle piccole e medie imprese italiane che non mollano e cercano di sopravvivere in un mercato stagnante.
Il principale problema resta quello di una domanda troppo debole perché la politica fiscale è troppo restrittiva. E occorre una soluzione politica condivisa, non certo impossibile da realizzare se appena se ne riesca a comprendere l’urgenza.
«il perdurare della stagnazione della domanda ha messo in crisi, a partire dal 2008, i modelli economici che vedono la politica monetaria come l’unico strumento utile, basati sull’idea che la sola riduzione dei tassi abbia il poter di far ripartire la domanda e quindi l’economia».
Chiedere alla Bce di distribuire denaro a pioggia è un sintomo dell’inefficacia delle normali regole di politica fiscale. Il principio del bilancio in pareggio ha finito per ostacolare ogni ragionevole tentativo di gestire il disavanzo in funzione anti-ciclica. Soluzioni nuove per salvare l’Europa.
Il primo giugno di 18 anni fa nacque la Banca Centrale Europea.
Lo racconto oggi su Wikiradio per Radio Tre