La cosidetta “incredibile vicenda” del costo delle monete da un centesimo

Una mozione parlamentare chiede al Governo di sospendere la produzione delle monete da 1, 2 e 5 centesimi.

Stando ai dati dei Deputati della Repubblica che l’hanno presentata, fabbricare le monete più piccole è costato 362 milioni dal 2002 ad oggi. Dunque, si risparmierebbero all’incirca 30 milioni di euro all’anno.

E va bene. Non sembra difficile trovare un modo più utile di spendere quei soldi piuttosto che produrre monetine che molti non usano nemmeno. Anche se come spendere meglio quel piccolo gruzzolo i proponenti non lo dicono.

A rendere invece del tutto comica la circostanza è che i deputati si lamentano che le spese di fabbricazione sono più elevate del valore facciale delle monete emesse. Fanno notare che si sono spesi 362 milioni di euro in dodici anni per fabbricare monetine col valore facciale complessivo di 174 milioni. L’Internazionale parla di incredibile vicenda. Il Corriere per ora non commenta, ma non mi meraviglierebbe un bell’articolo sull’ennesimo esempio di spreco di denaro pubblico. La vicenda è stata anche portata al pubblico ludibrio da Luciana Littizzetto, solitamente ben informata.

Ma insomma, c’è davvero un problema? Per capirlo, facciamo due conti. 

Cosa accade se ogni anno lo Stato spende 30 milioni per coniare monete che ne valgono solo 15?

I 30 milioni spesi dallo Stato servono a pagare dipendenti e fornitori privati, il cui reddito complessivo aumenta perciò di 30 milioni. Di fatto lo Stato ha immesso nell’economia privata 30 milioni di euro in più. Il valore delle monete (15 milioni) finisce sul conto corrente dello Stato.

Il risultato finale di questa operazione è che ci sono 30 milioni di euro in più nelle tasche dei cittadini, e 15 milioni in più che lo stato potrà spendere. Il problema dov’è?